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sabato 7 gennaio 2017

Storia di Montebelluna. Il Medioevo (Pieve e Castello)

https://drive.google.com/file/d/0BzDWezFKCMJ6TFphSzJocGEza2s/view?usp=sharing

Storia di Montebelluna. Il Novecento. Economia e Società.

https://drive.google.com/file/d/0BzDWezFKCMJ6SkZpd2FyZW9sY1U/view?usp=sharing

Storia di Montebelluna. Tra Otto e Novecento. L'economia

https://drive.google.com/file/d/0BzDWezFKCMJ6SFhaeV9BMC1fOUk/view?usp=sharing


Pietro Bertolini. Un grande protagonista della vita politica nazionale.




Lucio De Bortoli ©
Pietro Bertolini. Breve profilo

Pietro Bertolini. Breve profilo di colui che è stato, nei mesi che precedettero l'entrata in guerra dell'Italia, il numero due di Giovanni Giolitti e probabilmente destinato a formare il nuovo governo in caso di non belligeranza dichiarata del paese. Il documento si riferisce alla terribile contingenza '17-18 nel corso della quale -come si può leggere nel secondo contributo- Bertolini si attivò fortemente per i civili del montebellunese.
  

Nasce a Venezia il 24 luglio 1859. Il padre Camillo era magistrato di Corte d’Appello, la madre Ludovica Rigaglia era figlia di facoltosi commercianti. La famiglia Bertolini possedeva beni e proprietà a Montebelluna
Il giovane avvocato Piero il 31 dicembre 1884 viene nominato sindaco di Montebelluna dal prefetto Pallotta tra lo stupore e le proteste della giunta Cornuda che si dimette in blocco. Dopo la gestione commissariale del delegato Orsini, Pietro Bertolini sbaraglia il campo alle elezioni straordinarie del 21 giugno e ridiventa sindaco. La personalità di Bertolini di impone rapidamente, soprattutto per l’efficacia organizzativa e progettuale che dimostra nell’affrontare la secolare questione del problema Montello.
Nel settembre 1890 ottiene la candidatura alle politiche dall’Assemblea Liberale Monarchica di Treviso. Le elezioni del 23 novembre vedono la vittoria dei candidati della sinistra liberale, l’avvocato Roberto Andolfato di Crespano, il professore Giuseppe Benzi di Treviso e il conte Pietro Rinaldi di Castelfranco. Bertolini è il primo dei non eletti.
A causa dell’ineleggibilità del Benzi le elezione vengono riconvocate e questa volta vince Bertolini. E’ il 22 febbraio 1891 e il brillante sindaco di Montebelluna entra alla Camera. E sarà grazie alla sua spinta e alla sua competenza giuridica che nel marzo del 1892 viene varata la legge di colonizzazione del Montello, tema che lo aveva tenuto occupato già prima da sindaco e da studioso degli usi civici.
Ripetutamente eletto al parlamento, nel corso della sua lunga carriera politica Bertolini si segnalò peri suoi studi sulle autonomie locali, abbracciando però, almeno all’inizio, la linea conservatrice di Sonnino. Ma, a prescindere dalle collocazioni politiche, l’attivismo di Bertolini comincia a produrre i primi incarichi. Nel giugno del 1894 e infatti sottosegretario alla Finanze nel terzo governo Crispi (appoggio di Sonnino).
Con il ritorno al Collegio Uninominale le fortune elettorali dell’uomo politico montebellunese non mutano e egli sbaraglia il campo sino al 1913. Nonostante gli incarichi di governo, l’attenzione per il suo “feudo” di collegio rimane vivissima. Nel 1896 segnala il problema della stazione ferroviaria di Montebelluna e le necessità della fermata a Pederobba lungo la linea Treviso-Belluno. Si interessa anche delle opere di difesa del Piave nel tratto si Nervesa. Si attiva, prima con una donazione assieme a Ludovico Manin del sito, e poi attiva l’acquedotto di San Giacomo di Fener. Molto presente in Consigli Comunale, a prescindere dalla carica esercitata, svolge sempre la funzione di relatore ufficiale delle proposte di giunta sui temi più svariati che poi provvede ad accompagnare nelle sedi proprie e più favorevoli (strade, questione tramvia, telefonia, elettricità, nuovo teatro, istituende Biblioteca e Casa di Ricovero Umberto I, insediamenti industriali, ecc.). Costruisce assieme ai suoi sidali (Peratoner, Manin, Guido Dall’armi, Antonio Innocente, Rizzardi, Giovanni Polin) una rete clientelare e di interessi molto forte e in costante relazione pragmatica con la chiesa. Bersaglio principale della stampa democratica e laica, la sua invadenza politica e la sia obiettiva disinvoltura nei decenni tra Otto e Novecento raggiunsero livelli così radicati tra i suoi oppositori da provocare anche esercizi satirici di questo tipo:

(1.) Io credo in Bertolini e nella sua politica onnipotente e per conseguenza anche in Dio se e quando e quanto piace a Lui; (2). Credo nell’interesse unico signor nostro: (3) per il quale si può benissimo andare a Messa senza credere in una patacca (4) e fare i galoppini. (5) Credo che si debba stringere oggi la mano al prete, per domani farla in barba a lui; (6) salire ai più alti posti alla destra di Bertolini “babbo” onnipotente, (7) al quale solo spetta il diritto di giudicare tutto e tutti. (8) Credo la Chiesa un comodino qualunque ed i preti buoni uomini che si lasciano facilmente menare pel naso; (9) la remissione dei peccati, basta saperla darla ad intendere. (10) Credo tutti gli altri uomini fuori di noi, una manica di imbecilli, (11) la resurrezione del partito, caso mai avesse a cadere, (12) la vita eterna del medesimo e così sia.
(Il Berico, 9 agosto 1901)

La grande politica rimane però sempre nel suo mirino. Nel 1899 diventa sottosegretario dell’Interno nel 2° gabinetto Pelloux. L’anno seguente verrà coinvolto nella denuncia di Napoleone Colajanni sulla manipolazione da parte degli apparati dello Stato della volontà degli elettori. Qualche anno dopo lascia Sonnino e aderisce alle linea politica e governativa di Giolitti. La svolta paga perché nel 1907 diventa Ministro dei Lavori Pubblici. In tale veste si prodiga moltissimo per le popolazioni di Reggio e Messina colpite dal disastroso terremoto alla fine del 1908; occupa della complessa questione della statalizzazione delle Ferrovia, organizza le concessioni ai privati delle linee secondarie e si attiva per mandare in esecuzione le linee Belluno Pieve di Cadore e Motta Portogruaro.
            Nel 1911 è relatore della nuova legge elettorale che estende il diritto di voto a 8 milioni di cittadini (3 milioni in precedenza). Nello stesso anno è anche Plenipotenziario a Losanna per le trattative di pace con la Turchia a proposito della guerra di Libia che porterà alla firma del 18 ottobre. Lo stesso giorno Giolitti istituì il Ministero delle Colonie, al quale viene chiamato proprio Bertolini che raggiunge così l’apice della sua carriera. Poco dopo, nel 1913, l’anno in cui verrà rieletto solo grazie al voto determinante dei cattolici, comincerà invece il suo lento declino. Il suo ultimo grande successo popolare sarà l’inaugurazione della tramvia Asolo-Montebelluna-Valdobbiadene il 3 agosto del 1913.

            Allo scoppio del conflitto Bertolini assume una posizione neutralista e la mantenne sino alla fine. Si prodigò per le popolazioni del montebellunese, ma, nelle elezione del 1919 venne pesantemente sconfitto da Guido Bergamo.
            Il 27 novembre 1920, mentre ritornava in treno dal Belgio, dove era vicepresidente della commissione interalleata per le riparazioni di guerra, venne colto da improvviso malore e morì nei pressi del confine italo-francese.



Lettera a Diaz, 29 gennaio 1918

2. Una di tali fonti è la ricchissima collezione epistolare conservata nell’archivio privato di Pietro Bertolini, il “padrone” assoluto della scena politica locale dagli anni ottanta dell’Ottocento, nei quali viene nominato sindaco per poi divenire figura di spicco -parlamentare, sottosegretario, ministro- di quella nazionale[1]. Bertolini, nei mesi cruciali della scelta dell’intervento, aveva, come è noto, assunto una posizione di calcolato  neutralismo, convinto che il conflitto avrebbe prodotto la catastrofe del territorio[2]. È stato sottolineato che nella decisione di Bertolini abbia molto influito il terrore di un’invasione della sua terra[3]. Può essere che tale preoccupazione avesse anche risvolti personali e peraltro giustificabili. Tuttavia, le parole con cui, nell’immediato dopoguerra, il cosiddetto “tecnocrate” giolittiano argomenta una posizione che metta al centro di qualsiasi decisione concernente un conflitto in armi l’opinione del popolo può essere letta come una tarda, ma decisa, uscita dal suo tradizionale moderatismo conservatore[4]. Parole precedute, comunque, da un’azione a favore delle popolazioni sconvolte dalla guerra assolutamente indiscutibile e di alto contenuto morale e umano.
L’ex ministro degli Interni e delle Colonie, grazie alla sua trama ramificatissima di rapporti istituzionali e personali di forte rilevanza politica e nazionale, si fa carico, quindi, delle numerosissime e drammatiche problematiche del suo collegio[5]. La sua corrispondenza comprende le lettere a lui inviate dagli amministratori locali (Dall’Armi, il segretario Girolamo Baratto su tutti) alla ricerca di un orientamento, dai ministeri degli Interni, dell’Agricoltura, dall’Alto commissariato dei profughi, dalla Presidenza del consiglio, dal prefetto, dalle autorità locali e provinciali, dai privati, parroci, industriali, amici, militari. Come risulta dalla lettura dell’annale, Bertolini interviene con parole infuocate per ridurre le percentuali di requisizione dei bovini e i provvedimenti di incetta dei grani:

Ma non si può considerare che un assassinio una misura simile. L’invasore avrà tutto l’interesse a lasciar modo alle popolazioni di vivere, come ha fatto in Belgio dove la coltura ha continuato! Esso di certo non farebbe ciò che il nostro Governo si appresta a fare![6]

Interviene per scongiurare lo sgombero totale della città in gennaio particolarmente auspicato dagli inglesi, cura personalmente i contatti per gestire al meglio l’arretramento della popolazione dei paesi sul Piave nel bacino montebellunese, asolano e castellano, attivandosi per vettovagliamenti e soprattutto concordando, attraverso ministeri, l’Alto commissariato e le prefetture, destinazioni meno ostili o lontane; attiva le sue amicizie negli ambienti militari per sollecitare il ripristino degli acquedotti e del canale Brentella, la costruzione dei ricoveri per la popolazione, l’invio dei necessari vettovagliamenti; si adopera per il trasferimento delle attrezzature produttive di importanti unità produttive del distretto (Canapificio Veneto, Filanda Piva, stabilimento Ancilotto); interviene a favore del clero locale promuovendo l’esonero militare per i giovani cappellani impegnati a favore delle popolazioni (Dal Colle compreso) e cercando di evitare il carcere a quelli accusati  di attività antipatriottica (esemplare il caso del parroco di Paese Don Andreatti); si muove sul piano rischiosissimo della permanenza in loco delle famiglie contadine, accettando la partenza delle persone “non utili” e dei nuclei famigliari non produttivi; all’indomani della vittoria chiede, senza por tempo in mezzo, i primi immediati risarcimenti per i danni subiti e urgenti interventi per il riatto di un territorio sconvolto nelle sue infrastrutture e nella sua trama produttiva, con le fabbriche del territorio chiuse o trasferite, il polo industriale di Guarda smobilitato[7], le campagne devastate e un patrimonio vegetale, storico e materiale gravemente compromesso. E si reca spesso in paese, portando conforto, interloquendo con l’amministrazione provvisoria, adoperandosi per portare al sicuro le bambine locali e visitando la sua villa occupata periodicamente da truppe italiane e inglesi[8].

L’azione intensa, quotidiana e sistematica di un notabile che fino a quel momento si era segnalato soprattutto per le sue notevoli competenze giuridiche e amministrative, si avvicina, nei mesi orribili della guerra, ad un profondo, disinteressato e totale atto d’amore per la sua terra d’adozione; un vibrante e al tempo stesso struggente canto del cigno di chi,  subito dopo aver prodotto l’azione “popolare” più alta del proprio servizio politico, proprio dal quel popolo verrà clamorosamente respinto nelle elezioni del ’19: a dimostrazione che in politica ciò che produce il movimento è la direzione del sistema o delle cose e non certo l’intenzione o la volontà del singolo.
Tratto da “Lucio De Bortoli, Montebelluna. Società e Guerra. Montebelluna 1915-18, Edizioni Antilia

Lucio De Bortoli  ©






[1] Nonostante la statura dell’uomo politico in età giolittiana, lo stato degli studi su Pietro Bertolini è, proporzionalmente, assai povero. La cosa desta ulteriore sconcerto se si pensi che Bertolini raggiunse, presso i contemporanei una notevole celebrità. Ciò nonostante, il testo di riferimento per decenni è stato la voce, seppur ottima, di Giuliano Procacci in Dizionario Biografico degli Italiani, IX, Roma 1967, pp. 598-601. Prima di lui va almeno ricordato quello di C. Montalcini, Pietro Bertolini, in “Nuova Antologia”, dicembre 1921, pp. 209-233. Indicazioni e riferimenti sparsi su Bertolini si trovano anche in Hartmut Ulrich, in particolare La classe politica nella crisi di partecipazione dell’Italia giolittiana, 1909-1913, Roma 1979. Il ritorno d’interesse a livello locale si deve a Benito Buosi che nel suo Maledetta Giavera, Amadeus Edizioni, Montebelluna 1992, dedicato alla questione “montelliana”, ospita una prima panoramica sull’attività di Bertolini; allo stesso Buosi si deve anche l’organizzazione del convegno di studi: Pietro Bertolini. Un protagonista della storia montebellunese dal Comune al Governo, Atti del Convegno, Montebelluna 15-16 ottobre 1999, Biblioteca Comunale di Montebelluna, Cierre Edizioni, Sommacampagna 2002. Si veda anche De Bortoli, Nascita della città, fondazione della Banca cit. Infine, la raccolta di lettere e telegrammi dal novembre ’17 al novembre ’18 è parte dell’epistolario di Bertolini custodito nell’archivio privato di proprietà della famiglia (APBr., Corrispondenza Varia).
[2] La posizione di colui che era, nell’estate del ’14, il numero due di Giolitti, è contenuta nel suo Diario (Agosto 1914-1915), in Estratto dalla Nuova Antologia, Roma, febbraio 1923, pubblicato postumo dalla moglie Sofia Bertolini Guerrieri-Gonzaga.
[3] Così Silvio Lanaro, Pietro Bertolini e la classe politica veneta nell’età giolittiana, in Pietro Bertolini cit., p .20.
[4] Al popolo il diritto di guerra, in Pietro Bertolini cit., pp. 185-199, uno scritto inedito e di grande visionarietà politica.
[5] Si vedano i numerosi riferimenti documentari dell’Annale. L’immediato riconoscimento di tale operato, prima ancora che dai suoi concittadini, venne dal Commissario prefettizio Vincenzo Merricone: «E tradirei la mia coscienza se non ricordassi pure l’opera di S.E. Bertolini nei momenti di dolore per la nostra Patria. Quest’uomo dalla più rara multiforme attività, silenziosamente mi seguiva nell’esplicazione del mio mandato; e quando il suo intervento si rendeva necessario a favore di interessi del Comune, non mancò mai il suo appoggio e la sua opera. Ora che per iniziativa di tanto illustre Rappresentante il Comune potrà giustamente sperare nei provvedimenti governativi per la giusta riparazione, per quanto parziale, dei danni sofferti, io auguro che i Montebellunesi si riuniscano con comune intendimento di bene, e con la illuminata guida dell’uomo che hanno la fortuna di aver a rappresentante politico, operino con la prosperità del loro paese, al quale la natura non negò la sua prodigalità». (ACM., Registri deliberazioni Giunta Municipale, b. 7, Seduta 20 marzo 1919.
[6] APBr., Corrispondenza, Bertolini a Miliani, 24 novembre 1917.
[7] Una descrizione drammatica degli edifici industriali di Guarda in Paolo Viganò, Vita e Avventure di un Industriale, Tipografia Libreria Emiliana, Venezia, 1923. Per lo stabilimento dei Cotonifici Trevigiani, all’epoca  di proprietà della famiglia Collalto, si veda la lettera del direttore Demetrio Bassi, in APZ., sciolti, lettera a Girolamo Baratto, 30 gennaio 1918. In dicembre Bertolini era riuscito ad ottenere  tramite l’intervento di Achille Visocchi, Sottosegretario al Tesoro e autore di un’ispezione al fronte, lo sgombero (seppur parziale) della attrezzature dei Cotonifici, del Cascamificio di Augusto Bas e, a Crocetta, dell’imponente  Canapificio e della filanda Ancilotto (APBr., Corrispondenza 1917-18, dicembre, in Annale alla data).
[8] L’elenco delle 82 bambine in ACM., Profughi, 1147, Elenchi. Per i movimenti e le innumerevoli azioni di Bertolini si rimanda ancora infra Annale, passim.

lunedì 2 gennaio 2017

Guido Bergamo: microbiografia


RITRATTO DI GUIDO BERGAMO
INTRODUZIONE
Guido Bergamo, assieme a Pietro Bertolini, è di gran lunga la figura politica montebellunese più
rilevante del Novecento locale. Se Bertolini, veneziano di nascita e montebellunese d’adozione, ha
ricoperto importanti funzioni di governo, Guido è stato il protagonista assoluto di una breve ma
intensissima stagione politica alla quale è approdato partendo da un’identità fortemente locale e
popolare. Non è la sola differenza. Se Bertolini è stato uno degli ultimi leader del liberalismo
storico (peraltro di caratura nazionale), Bergamo è invece stato uno dei primi leader della nuova
politica di massa, seppur in un partito, quello repubblicano, segnato in tutto il suo percorso da una
vocazione laica e minoritaria.
Ciò che entrambi hanno in comune è tuttavia un dato non nuovo per Montebelluna: la rimozione
memoriale. E con ciò si intende segnalare qualcosa di più complesso della dimenticanza. Sotto
questo profilo i loro nomi non sono stati dimenticati; è che, molto semplicemente, non è ben chiaro
a moltissimi che cosa siano stati o abbiano fatto. Questa è la rimozione, ed essa non viene affatto
surrogata dal segno anagrafico della mera conoscenza.
Nel caso di Bergamo un paio di iniziative editoriali, peraltro a grande distanza di tempo l’una
dall’altra, non sono mancate. Si tratta di opere e contributi scientifici che hanno avuto una
circolazione per lo più tra addetti ai lavori. Quel che è mancato è la sistematizzazione scientifica e
di ricerca attorno al nodo politico rappresentato da Bergamo. Un primo capitolo avrebbe potuto
essere il lavoro di Livio Vanzetto, ma esso uscì dalla tipografia quando la presenza politica del
partito repubblicano, partito che sulla memoria di Guido Bergamo aveva continuato a ottenere nel
territorio percentuali elettorali ben superiori a quelle nazionali, era ormai, di fatto, insignificante.
Nessuno riuscì a sostituirsi al traino di partito e le istituzioni culturali della città si accorsero a
malapena della stampa del libro. Nel decennio scorso attorno a Mario e Guido Bergamo si riaccese
l’attenzione e ad essi la città intitolò una scuola e l’auditorium della Biblioteca comunale. Ma il
tentativo di socializzare su vasta scala un bagaglio e una sedimentazione consapevole di memoria
allo scopo di produrre attorno a tali figure un autentico senso comune è stato solo abbozzato.
Dopo la recente ricerca sulla repubblica dei “bergamini” degli anni venti, è ora tempo di riprendere
il discorso. E di farlo ponendo in essere iniziative editoriali anche apparentemente “leggere” come
quella che si presenta. E, tuttavia, bisogna intendersi. Per “leggera” si intende uno strumento
divulgativo in grado di raggiungere chi non ha mai letto un rigo su Guido Bergamo, chi ne ha solo
sentito parlare dallo zio o dal nonno, chi avverte in questo cognome e nome qualcosa di familiare
ma che non sa a cosa ricondurre.
E’ questo lo scopo di questa micro-biografia. Quella di risvegliare l’attenzione e di ridestare ciò
che, a volte, dorme inavvertito nel nostro codice memoriale.
Guido Antonio Bergamo nasce a Montebelluna nella casa di Via Trevignano (ora Via Bergamo) il
26 dicembre 1893, terzo figlio di Luigi Vittorio Bergamo e Virginia Pasqua. Prima di lui erano nati
Rosa Antonia detta Lina (1890-1976), Mario Matteo (1892-1963) e poi l’ultimogenito, Gino Luigi
(1897-1992).
Il padre, Luigi, diventa presto un autentico protagonista della vita pubblica. Personalità cordiale e di
grande intraprendenza, apre un’attività commerciale multiforme, un magazzino-ufficio (“mezzà”)
nel quale circolano merci e contratti, vendite all’ingrosso di prodotti alimentari e polizze
assicurative. Luigi accompagna la sua attività con un’autentica e autodidatta passione per i libri e la
letteratura. Celebrato dicitore e pregevole verseggiatore, trova anche il tempo per dedicarsi anima e
corpo alla comunità. Consigliere comunale dal 1889, membro della Congregazione di Carità (1891-
1898), membro del consiglio di amministrativo del Sindacato Agrario distrettuale, rappresentante
comunale nel Consorzio Brentella, revisore dei conti, delegato scolastico, assessore comunale e vice
sindaco nella straordinaria avventura della “Repubblica di Montebelluna”, l’amministrazione a
guida repubblicana del primo dopoguerra.
Guido e i fratelli crescono quindi tra le preghiere della madre e la passione per gli umili del padre,
tra letture risorgimentali e senso della giustizia sociale. Subito portato per gli studi e la cultura
(come Mario e la sorella Lina, sacrificata tuttavia sull’altare della mentalità del tempo), ha come
maestri i cugini di Augusto Serena (Giocondo, Leopoldo, ma anche Luigi Sernaglia), frequenta il
ginnasio dai Padri Cavanis di Possagno e a 16 anni compie gli studi liceali al Canova di Treviso,
con Bailo e lo stesso Augusto Serena.
A Treviso, assieme a Mario, scopre la politica, o meglio, la passione per le idee del fertile
movimento repubblicano cittadino, al quale entrambi aderiscono affascinati dal pensiero sociale
mazziniano. Sono gli anni della scoperta dell’ineguaglianza sociale, dello sfruttamento, della
necessità dell’intervento attivo e pedagogico:
Imberbe, tracagnotto, piccolotto, grosse spalle, testa quadra, gambe ben piantate, vestito stretto, capello
nero, cravatta levalière…Tale ce lo ricordiamo nei primi anni di studio al Ginnasio di Treviso.
Poteva averne quindici. E tanti ne sono passati da allora ad oggi.
Erano i giorni che stava rifiorendo in città la propaganda Mazziniana, dopo anni di lotte e di vicende varie
combattute da pochi e da fedeli per l’idealità Repubblicana.
Il Partito Ufficiale era rappresentato dal Circolo Mazzini (adulti), dal Circolo Operaio Fratti, dal Giovanile
Oberdan. Ma si sentiva il bisogno di un nuovo raggruppamento culturale che raccogliesse la gioventù
studentesca, che propagasse fra le masse della scuola media i principi etici sociali politici della Dottrina
Mazziniana.
Guido Bergamo fu il primo ed il migliore dei propagandisti. Fu compagno, milite, maestro, in mezzo ai molti
giovani che attorno a lui si strinsero sempre più numerosi, sempre più ardenti e buoni. Gli studenti fecero da
maestri ai giovani operai, seminarono il buon seme, crearono una scuola, divulgarono libri onesti, dettero
insegnamenti ad esempio di audacia, di fierezza; fecero sentire alle classi umili i primi palpiti di una santa
rivendicazione di principi per la emancipazione proletaria: principi che si ispiravano alla teoria del dovere
e del diritto, e non si scompagnavano alla esaltazione della Nazione Italiana, anche se per molti suoi
cittadini l’Italia non era Madre ma matrigna.
Così viene descritto ne La Riscossa del 5 aprile 1914, in una sorta di precocissima mitizzazione. Il
personaggio, giovanissimo, è, in effetti, già un leader. Si iscrive a medicina a Padova, dirige il
periodico La Minoranza edito dal circolo universitario padovano Guglielmo Oberdan, percorre la
Marca, fa comizi in osteria, salta sui tavoli e a vent’anni è il protagonista assoluto, con il compagno
di partito Giuseppe Chiostergi, marchigiano approdato all’ateneo veneziano, della straordinaria
vertenza del Canapificio Veneto di Crocetta Trevigiana: uno sciopero lungo, il più lungo della
Marca e il primo passo verso una conquista del diritto nelle condizioni del lavoro che ritornerà nel
primo dopoguerra. Le durissime e inaccettabili condizioni del lavoro nella fabbrica più grande del
trevigiano vengono, per l’appunto, denunciate per prime e sulla base delle informazioni fornite da
Guido dal periodico dei giovani repubblicani veneziani Il popolo Sovrano; nella gestione
dell’agitazione si aggiungeranno anche i socialisti trevigiani e la Camera del Lavoro guidata da
Napoleone Porro. I comizi di Crocetta sono, per Guido, il momento più alto della sua iniziazione
politica e sociale, come da lui ammesso:
Molto tempo è passato, più di trentatrè anni, ne avevo diciassette o diciotto, da quando lassù ai piedi del
Montello (Crocetta del Montello) scatenai uno dei più ricordati scioperi.
Si lavorava 12 ore al giorno, 2 lire al dì, in un immenso canapificio che era anche un immenso
tubercoloficio.
Proprio allora sbocciai alla vita per la mia battaglia, senza calcoli, s’intende, allora non di moda…
E la massa che sentiva la novella, gustava la fede del povero studente povero.
Toccai forse allora certe vette, con una mia rustica eloquenza spaesata, che forse non ho più raggiunte.
Alla fine di quell’estate esaltante si sposta a Parma, conosce De Ambris e gli ambienti del
sindacalismo rivoluzionario. Passa a Roma, poi a Bologna dove ritrova Mario che studia
Giurisprudenza, si lancia in comizi incendiari contro la monarchia e produce l’interesse degli organi
di controllo che aprono un fascicolo su di lui. A Bologna, nel 1915, dirige La Riscossa, organo del
fascio interventista di azione rivoluzionario, giornale che aveva fondato a Treviso l’anno prima.
Sono anni fertili, densi di contatti e di crescite.
Sono anche i mesi dell’intervento. Dopo l’iniziale pacifismo, in Guido (ma anche in Mario) matura,
problematicamente, la scelta dell’intervento in nome del principio della guerra alla guerra: “abbasso
la guerra sì, ma pure; abbasso il regno della guerra”. Solo la guerra, l’ultima guerra, avrebbe potuto
mettere fine ai regimi nazionalisti per realizzare la giustizia sociale e la pacificazione universale dei
popoli sovrani finalmente liberati nelle proprie piccole patrie.
Col senno di poi illusioni, certamente, come dimostrano le laceranti e autoanalitiche riflessioni
autobiografiche di Frammenti di vita, nei quali l’autocritica per la scelta arriva fino alla presa d’atto
dell’inutilità del conflitto: ma le promesse mancate delle guerra gli saranno subito chiarissime sin
dalle prime settimane del ’19.
Per il momento, tali autentiche ed ingenue visioni, lo portano il 3 giugno del ’15 ad arruolarsi
volontario con il grado di caporale presso il 7° Reggimento Alpino, Battaglione Feltre. Frequenta la
scuola Militare di Modena e diventa sottotenente di complemento assegnato all’8° Reggimento
Alpini, presso il quale comincia il servizio il 16 novembre inquadrato nel Battaglione Cividale.
Diventa Tenente di complemento nel ’16 e dopo un periodo di malattia parte per il fronte con il Val
Natisone. Promosso Capitano per merito di guerra dal 26 dicembre del ’16, nel corso del 1917 si
ricopre di gloria sul Grappa con il Cividale e il Pavione (7° Alpini). Guido Bergamo è infatti di gran
lungo il montebellunese più decorato della storia, con 3 Croci al Valor Militare (Isonzo, Monte
Nero e Monte Albiele) e 4 Medaglie d’Argento assegnatogli, queste ultime, per le azioni compiute a
Conca di Fonzaso (12.11.17), Col dell’Orso (25.11.17), a Porte di Salton (11.12.17) e nel Solarolo
(26.10.18).
Nel marzo ’18 approfitta di una licenza per sposare Maria Paleri, profuga a Firenze assieme alla
famiglia; e durante il pranzo verrà raggiunto da un dispaccio che gli ordinava l’immediato rientro al
fronte. Appena congedato si laurea a Bologna nel giugno ’19 e dà inizio a un percorso
professionale di grande rilevanza sperimentale nel campo della radiologia polmonare. Accanto alle
esperienze cliniche va ricordata l’apertura a Treviso di un Dispensario antitubercolare che arricchì
man mano delle più moderne attrezzature avvalendosi delle migliori consulenze della clinica
veneta.
La capacità di tenere assieme la ricca vita professionale e l’impegno politico è, certamente, il tratto
fondamentale di questa fase. Si tratta di uno straordinario quinquennio (1919-1924) nel quale Guido
raggiunge l’apice della sua carriera politica e tocca livelli altissimi di popolarità.
Ripetutamente eletto in Parlamento, egli trascina il piccolo partito Repubblicano trevigiano a
conquistare le amministrazioni del distretto montebellunese e a raggiungere altissime percentuali in
città. E una fase in cui il partito repubblicano si identifica in sostanza con Guido Bergamo e i suoi
militanti diventano i “bergamini”, odiati dai Popolari e invisi ai socialisti. Tutto questo matura nel
’19, in un dopoguerra complesso e ricco di contraddizioni, nel quale la voglia di chiudere con i
monarchici liberali e con tutto quel mondo aveva prodotto nuovi e trascinanti protagonisti giovanili.
Guido e Mario. Come è noto, partecipano, nel marzo, alla celebre riunione mussoliniana dei fasci di
combattimento in Piazza S. Sepolcro a Milano. La loro adesione ai fasci non durerà molto e, anzi,
Guido sarà uno dei primi in Italia a riconoscere, tra ’20 e ’21, il pericolo, ancora potenziale, che il
nascente fascismo poteva rappresentare per la democrazia e per i giovani, attratti da segnali di
rottura con il sistema ma in direzione reazionaria. In effetti, a ripercorrere i giornali dell’epoca, lo
scontro politico fondamentale è solo quello tra liberali e socialisti (o popolari): il fascismo resta
infatti marginale e sullo sfondo, a dispetto dei tanti soloni che ora pontificano sulle coerenze e
accusano, col senno di poi, coloro che hanno cercato di capire dove avrebbe portato l’onda della
rivoluzione sociale.
Esauritosi l’onda dei fasci, i due fratelli si dedicano alla costruzione di un nuovo partito
repubblicano: Mario in sede nazionale, Guido in quella parlamentare e territoriale. Guido in
Parlamento c’era però già arrivato, nel novembre del ’19, eletto a soli ventisei anni nel “Blocco
democratico e combattenti”, un polo di repubblicani, democratici e socialisti interventisti. In tale
occasione sconfigge, clamorosamente, Pietro Bertolini, il ras liberale locale, ininterrottamente in
Parlamento dal 1891, più volte ministro e sottosegretario, numero due dei giolittiani almeno sino al
’15. Il suffragio allargato porta le masse a un voto di evidente protesta verso uno Stato che non
manteneva le promesse e la cui assenza viene particolarmente avvertita in una delle zone
maggiormente investite dalla catastrofe umana e sociale del conflitto. Una volontà elettorale che,
tuttavia, non va, come nel resto della Provincia, verso i cattolici del partito popolare, ma a un
giovane trascinatore repubblicano già ben conosciuto e che sapeva parlare ai contadini, alla piccola
borghesia, all’artigiano e al commerciante, sino al proletariato urbano. Guido Bergamo diventa
dunque un avversario pericolosissimo, sia per i Cattolici che per i socialisti, ai quali strappa
l’elettorato di riferimento.
Sempre nel novembre 1919 la Camera del lavoro autonoma aderente alla UIL apre una sede in
piazza delle Stoviglie, presso l’abitazione e la pasticceria Bernardi. E’ l’inizio della “Repubblica di
Montebelluna”. Sotto la spinta dell’azione di Guido, i repubblicani nell’autunno del 1920
conquistano le amministrazioni di Montebelluna, Caerano, Volpago, Cornuda e Crocetta, entrando
nelle giunte di Arcade e Pederobba.
La vittoria è il frutto della straordinaria alacrità del movimento sindacale e cooperativo bergamino
che produce nel montebellunese ben 43 cooperative e 3000 iscritti nelle leghe. Tra il ’20 e il ’22
sorgono infatti il Consorzio delle cooperative autonome, il Consorzio dei Consumi dei Comuni
dell’Alto Trevigiano e l’Istituto consorziale autonomo per le case popolari e rurali dell’Alto
Trevigiano. Il movimento promuove e coordina inoltre l’istituzione di numerose cooperative di
consumo per la vendita dei beni di prima necessità. La giunta repubblicana diventa così lo
strumento di attuazione degli indirizzi sociali dei soggetti politici e sindacali attraverso
provvedimenti ad hoc e soprattutto mettendo in atto le progettualità consorziali e di rete pienamente
coerenti con tali indirizzi. Ciò che emerge soprattutto in tutto l’agire amministrativo è la piena
consapevolezza degli enormi problemi del dopoguerra (ricostruzione, danni di guerra,
disoccupazione) affrontati con determinazione e attraverso l’intervento di una serie di figure che
Bergamo aveva incrociato nel suo peregrinare studentesco e di lotta; uomini provenienti dall’Emilia
e dalla Lombardia e che costituiranno parte prevalente dei quadri organizzativi e sindacali del
movimento.
Mentre a Montebelluna si amministra, a Treviso, La Riscossa, organo dei repubblicani sociali, porta
in prima pagina tutte le battaglie di Guido, a tal punto che la Questura lo definisce organo personale
dell’onorevole Bergamo che vi scrive spessissimo. Le sue 12.000 copie di tiratura arrivano
dovunque e denunciano la corruzione e il malgoverno dominanti, promuovendo autentiche battaglie
come quella contro l’Ispettorato Generale di Castelfranco del Ministero delle Terre Liberate
incaricato di distribuire i generi di prima necessità alle popolazioni e accusato, giustamente, di
peculato; lo scandalo dei materiali di guerra svenduta ad aziende costituite da ex ufficiali, la
richiesta dell’urgente liquidazione dei danni di guerra alle popolazioni colpite dal conflitto. Ma i
temi sono molteplici: su tutti il rinnovo dei patti colonici, coraggioso strappo rispetto alle miopi
politiche sindacali bianche e rosse, il conflitto, aspro e feroce, con il Partito Popolare, la denuncia
del fascismo e della sua violenza che si presenta in tutta la sua ferocia nel cosiddetto “assalto a
Treviso” da parte di 2000 fascisti nell’estate del ’21 con l’obiettivo dichiarato di liquidare
soprattutto i primi concorrenti, vale a dire i repubblicani; ma, su tutti, la fortissima richiesta di
autonomia locale e regionale che emerge con grande forza dalle pagine del giornale. Il federalismo
repubblicano in “salsa veneta” riprende le battaglie dell’ultimo decennio del Novecento promosse
dai sindaci e da alcuni parlamentari veneti (Bertolini) per il decentramento e le autonomie locali.
Ora, però, i toni e i contenuti diventano “urlati” e durissimi: e alla campagna giornalistica
contribuisce dalla Camera dei deputati in prima battuta il deputato Bergamo, i cui interventi
vengono spesso riproposti in versione integrale. Il partito sul territorio invece si fa promotore della
costituzione di un Comitato di studio delle autonomie, al quale aderisce con entusiasmo anche
Silvio Trentin. Ed è persino superfluo aggiungere come anche questa battaglia verrà totalmente
soffocata sin dal primo governo di coalizione guidato da Mussolini e da subito di chiara foggia
rigidamente centralista.
Guido viene riconfermato deputato nel ’21, ma la giunta non convalida l’elezione di coloro che non
avevano trent’anni al momento dell’elezione. E così, nell’estate del ’22, il giovane politico,
sacrificato sull’altare della pacificazione, viene persino “bandito” da Treviso con l’accusa di essere
il responsabile del clima di violenza politica cittadina.
In realtà, la politica di Guido infastidisce perché si propone come alternativa fortemente
concorrenziale con i principi e le parole d’ordine di liberali, fascisti, popolari e socialisti. E il
terreno di sfida è quello di fondere e assumere nella coscienza delle masse popolari libertà, giustizia
sociale, appartenenza nazionale. Muoversi nel terreno di tutti e dimostrando di costruire le
condizioni fattuali di un superamento ideologico produce, inevitabilmente, ostilità e invidia: persino
all’interno del suo partito. Nel frattempo, la presa del potere da parte del fascismo produce, anche
nella Marca, i suoi effetti. Nel marzo del ’23 la giunta montebellunese, stretta tra le defezioni di
alcuni e il boicottaggio istituzionale dell’ostilità sfacciata del prefetto Massara, si dimette. E con la
giunta si sfaldano, progressivamente, le organizzazioni cooperativistiche che ne costituivano il
tessuto connettivo sociale. Ciò nonostante, nelle elezioni del ’24, Bergamo ottiene un successo
senza precedenti, finendo per diventare l’unico eletto trevigiano non appartenente al listone
nazionale dei liberal fascisti. Ma è significativo constatare che il partito arretra in provincia e sale in
città. Un chiaro segnale che rivela come il successo elettorale sia stato più politico che sociale: la
prima battuta d’arresto di quello straordinario percorsi di sintesi tra città e campagna, lavoratori
urbani e contadini, masse popolari e fasce borghesi intrapreso da Guido sin dai suoi esordi politici.
Comunque, è ormai evidente che la partita sta diventando un’altra; una partita nella quale scende in
campo non tanto la violenza in sé, prerogativa comune di un dopoguerra lacerante e ferrigno,
quanto le sopraffazioni e le coercizioni di uno stato sempre più regime. Agli insulti e alle
provocazioni seguono la devastazione della clinica nella quale Guido curava gratuitamente i poveri,
le minacce di morte, l’ordine di lasciare Treviso. Siamo agli inizi del ’26.
Costretto all’esilio, ritorna dall’Egitto (da lui richiesto) e si stabilisce a Mestre trovando un accordo
con i vertici del fascismo: rinuncia alla vita politica in cambio dell’incolumità e della libertà
professionale. Mussolini, in realtà, vuole evitare assolutamente un nuovo caso Matteotti e, in nome
delle frequentazioni giovanili e di un’autentica stima per l’uomo, frena e inibisce la furia omicida
dei ras locali. Mario invece sceglie il volontario esilio in Francia, nel quale darà vita alla duplice
critica al fascismo e all’antifascismo in nome di un’opposizione diversa, di un superamento del
fascismo non perché è inaccettabile, ma perché porta il paese allo sfascio. Per Guido la scelta è
quella del rifugio nella professione e nella sua coraggiosa e sacrificale ricerca.
La fine del fascismo produce, invece, una reazione contraria: Mario rimane a Parigi a coltivare la
sua ostilità per l’antifascismo parolaio e rifiutando il salto sul carro, Guido ritorna in sella, ma a
modo suo. All’indomani dell’8 settembre è lui, assieme a pochi altri, a costituire, a Bavaria, le
prime formazioni partigiane nelle montagne del nord est, salvo poi defilarsi nei confronti dei
“parolai” che non accettano il suo progetto di esercito partigiano da spedire al sud per affiancare
l’avanzata degli Alleati. Preferisce, a quel punto, dedicarsi alle attività delle brigate partigiane
mestrine e, subito dopo la Liberazione, ritorna assoluto protagonista, sia pur per una breve
stagione. Riprende quindi i comizi, ripropone intatte le sue idee, la sua sintesi social-repubblicana
(Marx e Mazzini) arricchita da una vena spirituale e cristiana. Nel ’46 sfiora di poco l’elezione alla
Costituente, ma, sempre più isolato dalla nuova classe dirigente repubblicana, lascia il partito nel
1947 per fondare, assieme ai fedelissimi come Ronfini, il PRIS, il partito repubblicano sociale.
Aderisce al Fronte Popolare nelle elezioni dell’aprile ’48 ma non viene eletto. Il tentativo di
nazionalizzazione democratica e sociale delle masse giunge al termine e coincide con l’aggravarsi
delle sue condizioni di salute.
In quegli anni la progressiva penetrazione del radium stava producendo infatti lesioni sempre più
gravi e che diventeranno rapidamente devastanti.
Solo l’evoluzione inesorabile di un patologia terribile avrebbe potuto ridurre al silenzio Guido

Bergamo. E così fu: il 26 giugno 1953.

La Repubblica di Montebelluna di Guido Bergamo




LA “REPUBBLICA DI MONTEBELLUNA” DI GUIDO BERGAMO
Nell’immediato primo dopoguerra Montebelluna e il suo territorio diventano i
protagonisti di una sperimentazione socio-politica tanto intensa nei risultati
quanto breve nella durata.
Dopo le anticipazioni delle lotte sindacali del 1912-14, la vicenda prende inizio
con l’elezione di Guido Bergamo a deputato nel novembre del ’19191 e la nascita
della camera del lavoro autonoma aderente alla UIL in piazza delle Stoviglie a
Montebelluna presso l’abitazione e la pasticceria di Bernardi2. Il soggetto
sindacale nasce nell’orbita dell’azione propulsiva di Guido e Mario Bergamo,
giovani esponenti e subito protagonisti del Partito Repubblicano. Sotto la spinta
soprattutto di Guido, i repubblicani, nel 1920, conquistano i comuni di
Montebelluna, Caerano, Volpago, Cornuda, Crocetta e entrano nelle giunte di
Arcade e Pederobba3. Il dato più impressionante che ci proviene da quegli anni è
però costituito dalla straordinarietà del distretto, isola verde in un mare bianco:
nel resto della provincia i popolari vincono in 76 comuni su 884.
La storia della breve e intensa “Repubblica di Montebelluna” , questo minuscolo
(per dirla con Mario Isnenghi5) prototipo nazional-popolare destinato alle teche
delle eccezioni, è un libro dai molti capitoli.
Nell’ordine. La tensione ideologica fortissima con i Popolari; il movimento
cooperativo, l’autonomia comunale.
Al di là degli scontri e della tensione politica più volte ricordate, in questa sede
assume rilevanza soprattutto la straordinaria alacrità del movimento sindacale e
cooperativo bergamino che produce nel montebellunese ben 43 cooperative e
3000 iscritti nelle leghe6. Tra il ’20 e il ’22 sorgono il Consorzio delle cooperative
autonome, il Consorzio dei Consumi dei Comuni dell’Alto Trevigiano (con la
1 La bibliografia riguardante Guido Bergamo non è, malgrado la rilevanza della sua figura, molto nutrita. Al
pionieristico e affettivo ritratto di amici e compagni comparso in occasione della morte, Vita di Guido Bergamo
(1893-1953), a cura di A. De Nardo, N. Meneghetti, G. Protti, R. Ronfini, Comune di Venezia 1953, è seguita la
monografia, a tutt’oggi imprescindibile, di L. Vanzetto, L’anomalia laica. Biografia e autobiografia di Mario e
Guido Bergamo, Istresco/Cierre edizioni, Verona 1994. Alle elezioni del ’19 il ventiseienne Guido Bergamo, a
capo di lista di ex combattenti che comprendeva anche i repubblicani, sbaragliò il ras locale Pietro Bertolini.
Bergamo, che si era già segnalato prima della guerra, appena ventenne, ricoprendo ruoli da autentico
protagonista, diventerà rapidamente il leader assoluto dei repubblicani trevigiani, una corrente caratterizzata da
una forte connotazione sociale e di sinistra.
2 S. Ramon, Cronache Sindacali Trevigiane (la prima e seconda UIL montebellunese e trevigiana), s.d.l, pp. 14-15.
La rilevante realtà sindacale del montebellunese degli anni venti è invece ignorata nel recente Dai campi alle
officine. Storie e lotte del sindacato nel Trevigiano, Atti del convegno, Un secolo per il lavoro 1906-2006, Treviso 8
novembre 2006, a cura di D, Ceschin, Istresco, Verona 2007.
3 La Riscossa, 2 ottobre 1920, n.39. La bandiera rossa repubblicana vittoriosa. Le Elezioni Amministrative - La
splendida vittoria nel Montebellunese – Il mandamento è stato strappato al connubio pipino-bertoliniano
4 Vanzetto, L’anomalia laica cit., p.38
5 M. Isnenghi, Colloqui e soliloqui ai bordi di una generazione, in Vanzetto, l’anomalia laica cit., p. 103.
6 La Riscossa, 1921, n.6, supplemento. Il Consorzio Cooperative Autonome era diretto da Giacomo Sartor,
Adriano Arcani, Dino Roberto e Guido Bergamo.
costruzione della nuova sede a Montebelluna, edificio che poi ospiterà le scuole
medie) e l’Istituto consorziale autonomo per le case popolari e rurali dell’Alto
Trevigiano7. Il movimento promuoveva e coordinava inoltre l’istituzione di
numerose cooperative di consumo per la vendita dei beni di prima necessità.
L’altro capitolo è quello riguardante la breve vita della prima amministrazione
montebellunese eletta dal popolo e guidata da una maggioranza repubblicana
imperniata attorno alla grande figura di Luigi Vittorio Bergamo, padre di Guido,
già deputato, e di Mario8. Sarà proprio Bergamo a pronunciare il discorso di
insediamento del nuovo Consiglio Comunale dopo le elezioni del 26 settembre
1920. Un intervento di alto profilo umano e civile, nel quale l’accento veniva
subito posto sulla democraticità dell’agire, per cui “noi non entreremo qui come
superbi padroni per comandare, per imporci al paese, sebbene per aiutarlo,
indirizzarlo, per servirlo (…) senza prevenzioni di sorta, senza rappresaglie sa
compiere, persuasi solo del bene comune, della pace di tutti”; e, soprattutto, nella
rivendicazione del ruolo del Comune di fronte ad uno stato centrale che abolisce
le tasse comunali per produrre “un’unica tassa sul reddito” a suo favore, un
comune che deve affrontare enormi difficoltà (scuole, lavoro) e convinto della
necessità di favorire “ogni decentramento e l’autonomia (…) contro la tirannia
dello Stato”. Accenti perfettamente coerenti con l’azione politica dei repubblicani
sociali prima ricordata e richiamati anche dal nuovo sindaco Giuseppe Dall’Armi
nel suo discorso di insediamento: “L’ideale sarebbe che il Comune potesse
liberamente amministrarsi”, anche perché per “la prima volta nella storia di
Montebelluna (…) il Consiglio Comunale è la pura espressione del popolo. Coloro
che lavorano, coloro che soffrono, gli umili, hanno designato noi
all’amministrazione della cosa pubblica..”, una cosa pubblica la cui gestione
doveva però infrangersi “di fronte alla tirannica restrizione di una legge (quella
Comunale e Provinciale) che non cesseremo di combattere…”9.
Si tratta di temi che trovano naturale comprensione nel quadro dell’azione
politica di Guido Bergamo, artefice di una sinistra altra che ha cercato di
conciliare le masse con la patria, il capitale con il lavoro, i doveri con i diritti, il
centro con la periferia. Un’azione destinata ad abortire nelle turbolenze degli anni
venti, ma che rilancia periodicamente gli interrogativi sul senso della sua perdita.
Ciò sollecita una possibile risposta al tema proposto: in che senso, nella
repubblica bergamina, il popolo contadino e artigiano del montebellunese ha
assunto, sia pur temporaneamente, una sua centralità?
7 Per il Consorzio Consumi si veda in ASCMb, Registro Deliberazione Consiglio Comunale, b.7, Seduta 11 dicembre
1920, oggetto 2; per quello delle case popolari e rurale in Ibidem, Seduta 2 ottobre 1921, oggetto 9. La sede del
consorzio era, in realtà, destinata ad ospitare tutto il mondo sociale e organizzativo dei bergamini; si veda
l’inaugurazione dei lavori dell’edificio in La Riscossa, 4 dicembre 1920, n.49. Il magazzino del Consorzio consumi
venne progettato in quei mesi dall’architetto Francesco Mengaldo (L. De Bortoli, Montebelluna nel Primo
Novecento, Comune di Montebelluna, Montebelluna 2007).
8 Un ritratto agiografico di Luigi Bergamo si trova nell’antologia di testi commemorativi presenti nell’opuscolo
Nel Trigesimo della morte di Luigi Bergamo, Montebelluna, Montebelluna, 18 maggio 1922.
9 ASCMb, Registro Deliberazione Consiglio Comunale, b.7, Seduta 11 ottobre 1920.
La risposta chiama necessariamente in causa due aspetti. Il primo fa capo alla
personalità di Guido Bergamo, al suo profilo sociale di piccolo borghese
proveniente da una famiglia in stretto rapporto con un passato prossimo e
vicinissimo contadino e un’attività commerciale, quella del padre Luigi, legata a
quello stesso mondo. Un padre però intellettualmente curioso e figlio di una
cultura risorgimentale fatta di buone letture e di miti culturali. Un figlio, Guido,
assieme al fratello Mario (Mario, il fratello, si sgancia da subito verso la città), che
si nutre di linfe diverse, che assorbe la tradizione mazziniana interclassista nella
sua versione più laica e che emerge là dove egli coglie le reali esigenze della
piccola proprietà contadina e al tempo stesso la necessità del diritto al lavoro10.
Una figura che, ancora, sa coniugare l’improrogabile dovere di educare le istanze
sociali -rese ancor più legittime, più di quanto già non fossero, dal disastro di una
guerra combattuta in quelle terre- con il terreno dei doveri, con l’urgenza, quindi,
di un’alfabetizzazione socio-politica non imposta ma resa naturale dal terreno
delle rivendicazioni. E a questo vanno ovviamente aggiunti i due capitoli
intrecciati della lotta alla corruzione e della rivendicazione di un’autonomia non
solo dovuta, nel rispetto del pensiero federale repubblicana, ma sollecitata dal
degrado e dall’inefficienza delle istituzioni del vecchio stato liberale. Sono due
capitoli nei quali la forza di Bergamo e dei propagandisti del settimanale dei
Repubblicani sociali trevigiani La Riscossa raggiunge toni altissimi e di assoluta
intransigenza: toni in quel momento assolutamente “popolari”11.
Il secondo aspetto è invece quello della traduzione del pensiero politico sul piano
organizzativo e amministrativo.
Come detto, tra la fine del ’19 e l’inizio del ’20 si insedia a Montebelluna la
Camera del lavoro autonoma, attorno alla quale si formano in pochi mesi decine
di cooperative. All’attività sindacale, intensissima e efficace, si affianca quella
amministrativa di una giunta repubblicana che recepisce gli indirizzi sociali dei
soggetti politici e sindacali attraverso provvedimenti ad hoc e soprattutto
mettendo in atto progettualità consorziali e di rete pienamente coerenti con tali
indirizzi (Consorzio Consumi, Case Popolari su tutti).
La piena consapevolezza degli enormi problemi del dopoguerra (ricostruzione,
danni di guerra, disoccupazione), emerge in tutto l’agire amministrativo, compresi
i contributi alla camera del lavoro, il cui quotidiano impegno contro la
10 La ricostruzione di Livio Vanzetto, L’anomalia laica, cit. passim rimane imprescindibile, ma è bene precisare
che si tratta di questioni che non godono ancora di bibliografia. Le fonti, giornalistiche e parlamentari, sono in
corso di raccolta e elaborazione storiografica da chi scrive.
11 La grande battaglia contro la corruzione dei funzionari del Ministero delle Terre Liberate istituito nel primo
dopoguerra per affrontare la gravissima situazione dei territori teatro di guerra, pur condotta anche da altri (ad
esempio il socialista Angelo Tonello, cfr. C. Sellan, Lotte mezzadrili e leghe rosse. L’esperienza di Angelo Tonello, in
Dai campi alle officine cit, p. 109, 119) vede, di fatto, come gran protagonisti i repubblicani di Guido Bergamo e la
redazione de La Riscossa che alla tematica dedicheranno centinaia di articoli, comizi e interrogazioni
parlamentari (sulla questione si veda Camera dei Deputati, Commissione parlamentare d’inchiesta sulle terre
liberate e redente (luglio 1920-giugno 1922), 2 voll., a cura di A. Moioli, Roma 1991); Il decisivo intervento di
Bergamo alla Camera con la richiesta di apertura dell’inchiesta si può leggere ne La Riscossa, 3 luglio 1920, n.24.
All’autonomia e all’assetto federale dello stato Bergamo dedicherà un’importante serie di pezzi giornalistici (per
limitarci a quelli iniziali, si veda La Riscossa, 26 agosto 1920, n. 32 suppl., 29 agosto, n. 33 e 4 settembre, n. 34,
ma anche il proclama di ribellione fiscale e amministrativa in La Riscossa, supplemento, 2 febbraio 1921) e, in
particolare, il saggio (in buona parte raccolta di fondi giornalistici) Per l’Unità Federale in Italia, Editoriale
Sociale, Treviso 1922.
disoccupazione viene vissuto senza alcuna contraddizione, alla stregua di
un’attività complementare e organica a quella dell’amministrazione. C’è, inoltre,
un aspetto che va messo in luce. L’oggettivo ritardo culturale e politico del
territorio richiedeva l’intervento di una serie di figure che Bergamo aveva
incrociato nel suo peregrinare studentesco e di lotta; figure provenienti dall’Emilia
e dalla Lombardia e che costituiranno parte prevalente dei quadri organizzativi e
sindacali del movimento12.
Va ricordato in quest’ottica almeno la battaglia per il riavvio spontaneo dei lavori
arbitrariamente interrotti della tramvia gravemente danneggiata nel corso della
guerra da parte delle cooperative locali, un’azione sostenuta sul piano politico da
Bergamo e tesa a denunciare l’immobilità interessata della Societa Veneta, azione
che porterà a sbloccare i finanziamenti dovuti13.
A questo andrebbero aggiunto le decine di lotte sindacali che coinvolsero le
maestranze delle maggiori imprese locali (Canapificio Crocetta, industrie Viganò e
Bas su tutte)14.
Va poi ricordata la modifica dei patti colonici nella primavera del ’20. L’accordo,
fortemente contestato da Popolari e Socialista, prevedeva la certezza del diritto nei
rapporti tra le parti e il pagamento di un fitto annuo indicizzato di 360 lire per
ettaro15. C’è un pezzo apparso ne La Riscossa del 18 marzo ’21 che esplicita con
grande chiarezza “la funzione sociale della cooperazione agricola”. E tra i molti
passaggi che varrebbe la pena richiamare (Credito agrario, approvvigionamento,
smercio, costruzione di edifici rurali, bonifiche, previdenza e assicurazione),
possiamo limitarci a sottolineare la chiusa, allorchè si pone in risalto che i nuovi
patti e l’opera delle cooperative libereranno il contadino dallo “sfruttamento di
12 Dopo il primo segretario dell’Unione Italiana del Lavoro Carlo Mojoli (Portogruaro, mutilato di guerra,
proprietario di un caseificio a Vidor) affiancato da Cassio Spagnoli (Ferrara, 1892), alla Camera del Lavoro
autonoma troviamo, sia pur brevemente, il locale Tiziano Brion di San Vito d’Altivole, ma già nel ’20 gli subentra
il marchigiano Filippo Amici (Montottone, Ascoli Piceno, 1888)e nel 1921 Mario Razzini (Linarolo, Pavia). Il
ferroviere ferrarese Oscar Spinelli dirige invece il Consorzio dei Consumi, mentre figura di spicco è il sindacalista
milanese Dino Roberto, amico di Filippo Corridoni, e presente a Treviso sin dal 1921.
13 Sulle agitazioni si vedano i rapporti molto duri del Prefetto sull’operato di Guido Bergamo e dei sindacalisti
locali in Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Divisione Generale Pubblica Sicurezza, Affari
Generali e Riservati, 1920, b. 82, fascicolo, Treviso e provincia, Disoccupazione, 26 maggio 1920 e 1° giugno 1920.
14 Per un elenco e riepilogo delle vertenze sindacali del primo dopoguerra si veda S. Ramon, Cronache Sindacali
Trevigiane cit, passim. Gli insediamenti industriali montebellunesi, concentrati per lo più nella frazione di
Guarda, erano ai primi passi ed erano stati promossi da investitori provenienti dall’esterno (Paolo Viganò,
Augusto Bas, I Collalto); sulla vicenda si veda L. De Bortoli, Storia di una Banca di territorio (Dalla Popolare di
Montebelluna a Veneto Banca, 1877-2007), con D. Gasparini, Treviso, Canova Edizioni 2008
15 La fonte diretta è Patto Colonico concluso fra la Camera Sindacale Montebellunese e l’Unione dei Proprietari,
Anno Agrario 1919-1929, Treviso, Vianello 1920, un opuscolo che contiene i 15 articoli (e il regolamento) del
Patto stipulato il 28 marzo 1920 e firmato dal Presidente della Commissione Claudio Marani, da Cassio Spagnoli
per L’unione del Lavoro, Carlo Moioli per la Camera Sindacale del Lavoro, dai rappresentanti dei coloni, Giordano
Cendron, Giuseppe Gallina, Vittorio Rasera e Vittore Merlo e da Giovanni Polin, Giandomenico Legrenzi e Giovan
Battista Ancilotto per i proprietari. Oltre alla divisione dei terreni in 5 categorie, l’accordo prevedeva, inoltre,
l’abolizione delle onoranze, delle prestazioni di mano d’opera e di carreggio estranei alla conduzione del fondo;
abolizione dell’affitto della casa colonica e dei rustici, imposte inerenti il capitale fondiario a carico dei
proprietari, partecipazione nell’allevamento dei bachi, bestiame di proprietà dell’affittuale, fitto in generi sulla
base della produttività degli appezzamenti e in denaro in caso di scarso raccolto.
numerosi intermediari che sul suo sudato lavoro costruiscono fortune facili ed
invidiate, ottenendo anche uno dei massimi risultati nel campo sociale e
economico: quello di poter collocare i prodotti sul mercato a prezzi molto più
modesti, con evidente vantaggio della classe operaia che attualmente lo considera
a torto ingordo spettatore”.16
Il passaggio si configura, insomma, come il tentativo di tradurre sul piano
operativo l’azione politica di Bergamo e del suo movimento, lungo quella linea di
confine ben delineata da Livio Vanzetto attraverso il processo di sintesi tra classi
dirigenti e subalterne, tra città e campagna, tra borghesia e proletariato, tra
agricoltura e industria, antinomie che hanno accompagnato inesorabilmente la
storia di questo paese.
PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI
Dopo la grande vittoria del 26 settembre 1920, salutata con toni a dir poco
trionfali da La Riscossa anche perché accompagnati dai risultati straordinari di
tutto il mandamento17, il nuovo consiglio comunale a maggioranza repubblicana
si insediò alla presenza di una “grande folla”18 in un quadro generale di enormi
difficoltà, sostanzialmente rimaste irrisolte malgrado il voluminoso rapporto del
Commissario Prefettizio Desirò.
L’attività amministrativa della giunta repubblicana19 prese inizio con un tema
molto caro a Guido Bergamo. Il 5 dicembre del 1920 il sindaco riferiva del
tentativo di trovare una sede per la Scuola di disegno applicato alle arti e che l’on
Bergamo si stava muovendo in tal senso. Ma, da subito, sono i provvedimenti
economici e di assistenza diretta a farla da padrone. Nella stessa seduta, infatti,
vennero ritoccate al rialzo, inevitabilmente, le addizionali del dazio per aumentare
i cespiti d’entrata del Comune cercando, però, di non gravare sui più poveri e
mantenendo più bassa quella della carne di manzo, vacca e toro. La giunta,
inoltre, propose di passare alla gestione diretta dei dazi “di consumo” e della
tassa di macellazione, ritenendo che il modello precedente, l’appalto in
16 La Riscossa, 18 marzo 1921, n.10
17 La Riscossa, 2 ottobre 1920, n.39. “La bandiera rossa repubblicana virtuosa. Le elezioni Amministrative. La
splendida vittoria nel Montebellunese. Il mandamento è stato strappato al connubio pipino-bertoliniano”. Le liste
repubblicane vincono nettamente a Montebelluna, Caerano e Volpago e a Covolo. Le liste della sinistra
conquistano Crocetta, Arcade e Cornuda. Ottimo risultato anche a Trevignano, feudo dei Popolari.
18 La Riscossa, 18 ottobre 1920, n.41
19 La Giunta era così formata: Sindaco, Giuseppe Dall’Armi (Lavori pubblici, Amministrazione generale); Luigi
Bergamo(Stato civile, Leva, Anagrafe, Istruzione pubblica, Sanità e Igiene, Culti); Lino Radoani (Finanze, Ufficio
speciale per servizi pubblici, Anni di guerra, Lavoro e Previdenza sociale); Bellino Bernardi (Pensioni e
assistenza militare, Benefici, censo, Polizia urbana, Ordine e sicurezza pubblica, Annona, Requisizioni); Giacomo
Sartor (Collaborazione col sindaco Lavori pubblici); Davide Cima (Servizi pubblici urbani, Acquedotto,
Illuminazione pubblica, Sorveglianza spacci pubblici e privati, Calmiere); Giuseppe Cendron ( Agricoltura,
Nettezza urbana, Fognatura, Irrigazione).
cointeressenza, fosse ormai svantaggioso visto il beneficio che le casse comunali
riceverebbero dall’incasso del cespite. A proposito del grande tema di quei mesi,
vale a dire la questione dei danneggiati di guerra, si decise di istituire un ufficio
di assistenza per “venire in aiuto di molti e specialmente dei più umili e più
bisognosi, che, per cause varie non riescono ad ottenere la liquidazione o,
ottenuta questa, il pagamento degli indennizzi, di cui hanno pieno diritto e grave
necessità”. L’assessore Radoani comunicò così che erano state già aperte “delle
pratiche” affinchè l’on. Bergamo potesse agire presso il Ministero Terre Liberate
(MTL) per ottenere un concorso per le spese dell’ufficio “la cui attività riguarderà
tutto il mandamento e quindi con il concorso anche degli altri comuni”20.
Nella seduta del giorno 11 dicembre prese il via una delle più rilevanti iniziative
della giunta bergamina, vale a dire l’istituzione di un Consorzio Consumi dell’Alto
Trevigiano, del quale si erano gettate le base a fine novembre nel corso di un
convegno tenuto nella sala teatrale e al quale era seguita una riunione (5
dicembre) tra i Comuni interessati e la Cooperativa di Consumo21. Il sindaco
relazionò sulle difficoltà di trovare un istituto di credito che finanziasse a
condizioni vantaggiose l’ente, al quale serviva un capitale liquido d’impianto di
250.000 lire e un capitale di garanzia di un milione; e informò dell’azione in corso
da parte di Guido Bergamo presso l’Istituto Federale di Credito per il
Risorgimento delle Venezie e il ministro Raineri per ottenere un finanziamento al
tasso del 3%. Vennero poi esposte le linee generali del consorzio, vale a dire il
versamento di una quota di lire 5 per abitante (e capacità di garanzia sino a 20
lire). Le quote, unitamente alla sovvenzione dell’Istituto Federale di credito,
sarebbero andate a costituire il capitale d’impianto. All’iniziativa potevano
aderire, inoltre, cooperative e consorzi locali mediante versamento di una quota di
lire 5 a socio.
“Il Centro Consorziale per i Consumi potrà essere eretto in Ente Morale; avrà la
funzione di ricevere le assegnazioni di generi contingentati e sottoposti a controllo al
monopolio di stato, e di acquistare nei luoghi di produzione e all'ingrosso gli altri
generi di largo consumo e di generale necessità, di eseguire la distribuzione a mezzo
delle Cooperative ed Enti di Consumo locali, con facoltà di prescrivere i prezzi della
minuta vendita. Il rimborso dovrà sempre essere fatto per quote esattamente
proporzionali alla garanzia prestata da ognuno dei comuni aderenti; e L'Istituto
Federale assume di disinteressare in anticipazioni gli Istituti Consorziali, onde
riservare al Centro Consorziale il beneficio della corrispondente riduzione di tasso
sino al minimo del 3%.”
Il centro consorziale sarà composto da un consiglio di 9 membri, 6 eletti dai Comuni
e 3 dagli enti e cooperative. Avrà uno statuto e una terna di persone “fra cui dovrà
essere eletto uno dei sindaci effettivi dell'ente”22.
Alla premessa si allegava lo statuto che, all’articolo primo, definiva l’obiettivo di
“procurare alle migliori condizioni e senza intento di speculazione generi di largo
consumo”. Se la sede legale del Consorzio era a Treviso, il Centro consorziale di
20 ASCMb., Registro Deliberazione Consiglio Comunale, b.7, Seduta 5 ottobre 1920. Oggetto 1,2,3,4.
21 ASCMb., Ibidem, Seduta 11 dicembre 1920, Oggetto 2.
22 ASCMb., Ibidem, Discussione.
distribuzione venne ubicato a Montebelluna (art.4). All’ente avrebbero partecipato
Comuni, Cooperative di consumo, Società di mutuo Soccorso, Congregazioni di
carità e l’Ente Autonomo per i consumi di Treviso (art.4). Il patrimonio era
costituito dal capitale conferito dai Comuni partecipanti (quote e contribuzioni
straordinarie), dai conferimenti degli altri enti (5000 per Istituti di credito, 1000
per Congregazioni di carità e Società di mutuo soccorso e cooperative), da eredità,
lasciti e donazioni; da ogni forma di contribuzione vennero invece esentate la
Camera di commercio e la locale Camera del lavoro.
Il Consiglio generale, il Comitato esecutivo e il Direttore costituivano l’asse
amministrativo (art.10). L’articolazione del Consiglio denunciava quindi la
necessità di un ampio coinvolgimento sociale e istituzionale:
a. tre rappresentanti del Comune di Montebelluna e uno per ciascuno degli
altri Comuni partecipanti;
b. un rappresentante degli Istituti di Credito direttamente partecipanti;
c. un rappresentante degli istituti di beneficenza;
d. due rappresentanti delle Cooperative di consumi aderenti;
e. un rappresentante della Società Operaia di Mutuo Soccorso aderenti;
f. un rappresentante degli Enti partecipanti che hanno scopo di produzione,
conservazione e distribuzione dei generi alimentari;
g. un rappresentante della Camera di Commercio di Treviso;
h. un rappresentante della Camera del Lavoro di Montebelluna;
i. un rappresentante del Commissariato Generale per gli Approvvigionamenti
e i consumi alimentari.
Nel corso della discussione il consigliere di minoranza Baccega manifestò forti
perplessità sulla possibilità del Comune di rifondere il capitale conferito. Lino
Radoani potè così precisare che il Comune non avrebbe portato capitali propri,
ma quelli forniti dall’Istituto Federale. Il Sindaco avvertì che nell’adunanza tenuta
a Venezia il 7 del mese, nella quale si era stabilito che l’Istituto federale e altri
soggetti avrebbero potuto fornire sino a 2 milioni di capitale, si era convenuto che
il capitale d’impianto venisse fornito dai Comuni con mezzi propri. L’Ente
avrebbe, inoltre, potuto sostituire con gli spacci il Consorzio granario provinciale
e allargare la sua attività alla produzione di calzature, tessuti ecc. In generale i
consiglieri espresserro la propria fiducia nel successo dell’iniziativa, mentre la
presenza di un rappresentante della Camera del Lavoro venne spiegata con
l’osservazione che “ragioni di controllo sul retto funzionamento dell’Ente
consigliano tale ammissione”, precisando che se fossero sorte altre Camere del
lavoro avrebbero avuto diritto al loro rappresentante. In sostanza, all’opposizione
(Baccega, Serena, Cornuda) premeva che dall’ente venisse tenuta fuori la politica,
dimostrando grande scetticismo sulla realizzabilità dell’operazione. Nel corso del
dibattito si precisò che la presenza degli spacci avrebbe consentito di produrre
ricchezza locale invece di favorire Treviso e rimpinguare gli utili del Consorzio
granario provinciale. Antonio Baccega, socio dell’amministrazione del Consorzio
granario, agronomo e Direttore del Consorzio locale, portare pertanto di interessi
ben definiti, difese l’ente granario provinciale sostenendo che i suoi utili
contribuivano a finanziare opere benefiche i cui vantaggi riguardavano l’intero
territorio. Radoani replicò che il Consorzio aveva investito sinora solo in Treviso e
che i Comuni, “che procurano gli utili al Consorzio” soffrivano perché privi di
mezzi per sostenere opere pie e scopi benefici senza godere di alcun vantaggio
dalle attività economiche del Consorzio, del quale si denunciarono anche gli
esorbitanti sopraprezzi (Luigi Bergamo). Infine, vista l’utilità sociale degli scopi del
consorzio e l’impegno nel capitale consorziale di lire 75.000, si deliberò di
assumere a carico la garanzia di lire 300.000 per le operazioni successive del
Consorzio23.
Nella stessa seduta si stanziarono anche 25.000 lire per sostenere le spese
necessarie al funzionamento dell’ufficio per i Danneggiati di guerra, in attesa dei
contributi degli altri Comuni e del sussidio ministeriale24.
Il contributo alla Camera del Lavoro locale produsse invece un acceso dibattito e
le proteste dell’opposizione. La maggioranza sostenne che tale contributo trovava
applicazione anche in altre Comuni (Roma) in nome della funzione sociale della
Camera del Lavoro, presso la quale trovano assistenza le esigenze e i bisogni delle
categorie dando sollievo agli uffici pubblici ai quali, invece delle “folle di operai, si
presentano corrette rappresentanze della Camera Sindacale”. Si decideva, quindi,
di stanziare un contributo di 2000 lire25.
Sul fronte della formazione, tema centrale della politica repubblicana e
bergamina, si ratificò in marzo l’istituzione di una Scuola Tecnica a tipo agrario,
una scuola secondaria da tempo auspicata e dal respiro mandamentale. Con
Caerano, Cornuda, Crocetta, Pederobba, Trevignano, volpago e Altivole si sarebbe
costituito un consorzio per assicurarne il funzionamento e Montebelluna si
avrebbe assunto la spesa “per l’impianto della scuola” e un contributo annuo di
35.000 lire26. Nella stessa seduta si assunsero poi provvedimenti contro la
disoccupazione operaia (già deliberati dal Commissario Regio) per la cifra di
320.000 lire27 elevando mutuo presso la Cassa Depositi e Prestiti.
In luglio, di fronte alle prescrizioni governative di applicare anticipatamente
rispetto al sussidio dello stato il “massimo rendimento” ai tributi locali (tasse
23 ASCMb., Ibidem, per tutta la discussione riportata. La filosofia ispiratrice del consorzio, di stampo chiaramente
sociale e imperniato attorno al principio di un federalismo orizzontale, era profondamente legata a una visione
“politica” e come tale venne interpretata da suoi oppositori. Sotto questo profilo è significativa la demolizione a
cui l’istituto venne sottoposto all’indomani dell’avvento della giunta del blocco liberal-fascista. Una demolizione
che, tuttavia, trovava giustificazione in chiave amministrativa, occultando sapientemente la decisione tutta
“politica” di lasciarne languire la gestione nella più totale inattività. La documentazione, piuttosto copiosa, si
trova in ASCMb., Consorzio Consumi, b. 1266.
24 ASCMb., Ibidem, Delib. 49
25 ASCMb., Ibidem, Delib. 55.
26 ASCMb., Ibidem, Seduta 31 marzo 1921, Delib. 25. Le risorse per garantire il funzionamento iniziale
provenivano dai proventi dei festeggiamenti e da una “cospicua elargizione” della Banca Popolare locale. Il forte
impegno dei repubblicani sociali in campo scolastico è, inoltre, dimostrato dall’esecuzione dei progetti dei plessi
scolastici di alcune frazioni di campagna (Busta, Contea, Guarda e Pederiva), dall’aumento degli spazi delle
“scuole del capoluogo” e soprattutto dalla delibera riguardante il progetto del grande edificio scolastico del
Centro, da tempo obiettivo delle amministrazioni montebellunesi (si veda Manifesto della Giunta Repubblicana,
marzo 1923)
27 ASCMb., Ibidem, Delib. 33. Si trattava di una serie importante di lavori pubblici riguardanti l’assetto viario del
comparto a nord del centro, l’allargamento delle rotabili a sud, la facitura di nuovi marciapiedi, l’ampliamento
del cimitero e la sistemazione del canale irriguo “delle Rive” (poi sospesa). Sul tema si ritornerà anche nella
seduta del 3 luglio (delib. 81) allorchè si accenderà un prestito bancario per pagare i lavori di escavazione
ghiaiosa in corso “a sollievo della disoccupazione operaia; altri lavori di “escavo di 3500 metri cubi per
manutenzione delle strade del Comune” venivano urgentemente ratificati nella stessa seduta.
dirette, Ricchezza Mobile, dazi consumo e tasse indirette) per poter, nel caso,
raggiungere con mezzi propri il pareggio di bilancio, si decise, sia pur obtorto collo
di ottemperare –anche per evitare sbilanci futuri che avrebbero compromesso
completamente il sussidio- ma di procedere in modo mirato. Oltre alla conferma
dell’inalterabilità dell’imposta erariale sui redditi di ricchezza mobile e la relativa
sovrimposta, venne invece ritoccata in alto la tassa sugli esercizi, rivendite e
professioni perché tali categorie avevano goduto di condizioni vantaggiose di
fronte a una tariffa ferma dal 1903; per la tassa di famiglia si scelse il criterio di
progressività e sul fronte dei dazi si congelarono quelli dei commestibili, del
bestiame, foraggi, materiali di costruzione ecc. per aumentare tutto il comparto
vino e alcolici28. Di carattere innovativo e coraggioso, invece, si dimostrò la scelta
di procedere alla tassazione delle aree fabbricabili prodotta dalla necessità
assoluta di nuove abitazioni29 per alleviare la situazione ancora drammatica del
dopoguerra. Si confidava sul fatto che l’elevatissimo costo delle aree sarebbe stato
abbassato dalla necessità dei proprietari di procedere alla loro vendita a causa
degli elevati oneri fiscali. Peraltro, il largo interesse sociale del provvedimento si
coniugava perfettamente con le necessità di cassa30.
Si concedette, inoltre, al Consorzio consumi l’ala a levante della loggia dei grani
affinchè potesse aprire uno “spazio i generi di largo consumo” superando
l’opposizione di Baccega che non credeva “utile in ambienti piccoli come questo la
cooperazione di carattere politico”. Il consigliere liberale preferiva l’accordo con la
locale Cooperativa di consumo ed esprimeva forti riserve sulla possibilità del
consorzio di pervenire a risultati positivi. Il Sindaco replicò negando il carattere
politico dell’operazione, considerando ovvio cercare di facilitare un soggetto verso
il quale il Comune aveva assunto una garanzia di 300.000 lire; Baccega accusò
che il carattere politico era evidente nella nomina di persone “d’un determinato
colore politico”. Ma l’ente, come ammise Luigi Bergamo, era talmente impegnato
con il Consorzio che, come vedremo, di lì a poco avrebbe persino approvato il
raddoppio della garanzia per ampliarne il raggio d’azione ad altre attività31.
Il drammatico problema della carenza di alloggi, dopo il provvedimento di natura
fiscale sulle aree, venne affrontato in modo strutturale in settembre, allorché si
decise di dar vita alla costituzione di un consorzio intra-comunale per la
costruzione di case popolari e rurali. Il consorzio, di durato quinquennale, si
proponeva l’obiettivo di acquistare o permutare terreni per la costruzione degli
alloggi, acquistare fabbricati e alberghi popolari per ridurli a case popolari. Il
patrimonio consortile sarebbe stato costituito da somme conferite dai Comuni in
ragione di lire 5 a abitante, da somme a fondo perduti di enti locali, da quote di
28 ASCMb., Ibidem, Seduta 3 luglio 1921, Delib.3
29 ASCMb., Ibidem, Delib. 53. Nella sua relazione l’assessore Radoani poneva l’accento sul fatto che “non solo
numerose famiglie sono costrette ad alloggiare in baracche, ma famiglie d’impiegati e di commercianti che
sarebbero venute a stabilirsi qui non hanno potuto farlo, per l’impossibilità di trovare abitazioni”
30 L’obiettivo, peraltro della legge 320 del 1904, era quello di stimolare i proprietari tassati a vendere a prezzi
accessibili per allargare l’accesso alle case e aumentando, allo stesso tempo, i proventi per il Comune.
31 La discussione in ASCMb., Ibidem, Delib. 64. L’attività del Consorzio prevederà l’estensione della propria
attività all’apertura di un pastificio e di una fabbrica del ghiaccio. La fine prematura dell’amministrazione impedì
il programma di sviluppo e la fabbrica del ghiaccio venne realizzata da una cordata di privati guidati da Giuseppe
Zecchinel in Piazza dei Suini. Si veda la presentazione del progetto del 26 dicembre 1923 in L. De Bortoli,
Montebelluna nel primo Novecento cit, pp.76-77
concorso comunali sotto forma di proprietà immobiliari, da azioni nominative di
lire 100, da eredità, lasciti, elargizioni, donazioni e fondi riserva32.
Nella seduta del 15 ottobre, oltre alla comunicazione concernente la possibile
sospensione degli anticipi sui risarcimenti dei danni di guerra33, tema in quei
mesi al centro della battaglia politica di Guido Bergamo e de La Riscossa, si mise
in discussione la delibera di ratifica e di aumento della garanzia per il Consorzio
consumi. La discussione si vivacizzò a causa della richiesta, da parte dei
consiglieri Adami e Nardello, di precisare le modalità di richiesta del Consorzio; i
due consiglieri, inoltre, lamentarono la mancanza di dati sufficienti di gestione
per poter procedere a una garanzia che impegnasse fortemente il Comune. Di
fronte al possibilismo di Dall’Armi, Radoani ritenne invece dannoso rimandare la
conferma perché ciò avrebbe potuto indurre l’Istituto Federale di Credito a
ritornare sulla propria decisione di finanziamento. Osservò anche che gli altri
Comuni avevano già ratificato l’aumento e sarebbe quindi stato “disdicevole e
peggio che mancasse proprio questo comune, dal quale è partita l’iniziativa
dell’aumento stesso”. Alle obiezioni di Adami che confermò il suo parere negativo,
Radoani ribattè che il Consorzio era rappresentato da Guido Bergamo e Rino
Ronfini, “due nomi che danno i più tranquillanti affidamenti”; Adami non si
convinse e a lui si associarono Camozzato e Nardello. Luigi Bergamo offerse le più
ampie rassicurazioni sulla bontà gestionale dell’ente e ricordò il pericolo di
perdere i finanziamenti e la sua funzione sociale. Alla fine si decise di
soprassedere, sia pur a strettissima maggioranza34.
La ratifica e l’aumento del fondo di garanzia del Consorzio riprese verso la fine
d’ottobre e questa volta alla presenza dell’agronomo Antonio Baccega, già
fortemente contrario all’istituzione dell’ente. Baccega, futuro sindaco del blocco
liberal fascista, si lanciò all’attacco dell’iniziativa, sottolineandone l’inutilità e
sostenendo che l’iscrizione al consorzio avrebbe dovuto estendersi anche ai
comuni (come Treviso) che fanno uso dei suoi spacci senza condividerne gli oneri.
In realtà la discussione si svolse sul terreno della schermaglia sino all’intervento
di Ronfini e Spinelli35. Rino Ronfini, nella sua qualità di consigliere delegato del
Consorzio36, spiegò che Treviso aveva da tempo un proprio Ente autonomo per i
consumi, “del quale questo Consorzio svolge opera collaterale, che è bene
considerato dall’Ente stesso”. Ricorda che Treviso aveva finanziato in proprio il
consorzio con 400.000 lire mentre i Comuni di area prestavano soltanto una
32 ASCMb., Ibidem, Oggetto 9. Al Consorzio aderirono, oltre a Montebelluna, Caerano, Nervesa, Pederobba,
Volpago e Crocetta. Sulla breve attività consortile (anch’ essa interrotta dal Commissario Prefettizio e dal blocco
liberal-fascista) si veda in ACSMb., Case Popolari. L’atto Costitutivo fu siglato il 15 giugno 1922 presso il notaio
Giuseppe Saccol, prot.2318
33 ASCMb., Ibidem, Seduta 15 ottobre 1921, Comunicazioni del Sindaco.
34 ASCMb., Ibidem, Deliberazione in seconda lettura sull’aumento della garanzia pel Consorzio per i Consumi
dell’Alto Trevigiano. Discussione.
35 ASCMb., Ibidem, Seduta 21 ottobre 1921. I Comuni presi di mira da Baccega erano, oltre a Treviso, Riese,
Valdobbiadene e Mestre.
36 Rino Ronfini, mazziniano, esponente del partito repubblicano trevigiano e suo grande finanziatore. Titolare di
un officina meccanica devastata dall’assalto fascista a Treviso del 13 luglio ’21, seguì fedelmente il percorso
politico di Guido Bergamo sino all’adesione al Fronte Popolare del 1948. E’ stato co-autore del ricordo biografico
di Bergamo segnalato supra alla n. 1. Su di lui Vanzetto, L’anomalia laica cit., p.77
garanzia “la quale è coperta dalle merci del Consorzio”. Alcuni consiglieri
apprezzarono le precisazioni di Ronfini e dichiararono di essere ora favorevoli
all’aumento. Oscar Spinelli37, Direttore del Consorzio, ricordò nella sua relazione
le difficoltà iniziali a causa della discesa dei prezzi e riferì della rapida creazione
degli spacci nei Comuni (tra aprile e settembre) e della farmacia, oltre al
magazzino centrale all’ingrosso di Montebelluna e quello secondario di Treviso.
Spinelli precisò che la mancanza di dati precisi di gestione è dovuta alla
devastazione “patita dagli uffici del Consorzio nei noti avvenimenti del luglio
scorso” (la nota spedizione fascista a Treviso) e che a breve la situazione contabile
sarebbe stata sistemata; fornì anche la positiva e brillante progressione delle
vendite nei due magazzini all’ingrosso di Montebelluna e Treviso e il giro di
entrate degli spacci di Montebelluna, Treviso e Caerano e della farmacia 38.
Presentò, infine, il programma industriale del Consorzio (già votato da Nervesa) e
il raddoppio del fondo di garanzia venne così approvato a larga maggioranza (19 a
3).
L’attività amministrativa nel corso del 1922 fu quasi interamente rivolta a
sostenere l’attività delle organizzazioni sociali del lavoro39 e in una serie di
importanti provvedimenti di contrasto alla disoccupazione operaia, come
l’importante intervento del comparto viario “a nord di Pieve” che venne affidato
alle cooperative locali40. Tuttavia, l’andamento delle riunioni consiliari segnala il
progressivo esaurirsi della spinta iniziale a causa, soprattutto, dei fortissimi
intralci e ostacoli dell’autorità tutoria. Il coraggio e la necessità di aumentare le
tasse locali ai più abbienti produsse a fine anno un attacco violento e demagogico
degli ambienti liberali e pseudo-fascisti locali che indurrà la giunta a produrre
persino un manifesto pubblico nel quale veniva spiegata l’equità del
provvedimento41. In generale, tuttavia, il clima “politico” stava divenendo sempre
37 Oscar Spinelli, ravennate, residente a Treviso nell’immediato primo dopoguerra. Su di lui almeno F. Scattolin,
Assalto a Treviso, Istresco-Cierre-Canova, Treviso 2001, p.126
38 Val la pena di riportare i dati di Spinelli (incompleti a causa della devastazione degli uffici della sede del
partito a Treviso da parte dei fascisti nel luglio) che confutano, decisamente, l’attacco alla gestione che venne poi
portato all’istituzione dai liberal fascisti. “Magazzino ingrosso Montebelluna: maggio 46441, giugno 57940, luglio
62229, agosto 91523, settembre 92032;Magazzino ingrosso Treviso: luglio 12600, agosto 10779, settembre
27595.Cifre giornaliere di vendita:Spaccio entrate di Montebelluna: luglio 1414, agosto 3222, settembre 3418”.
Spinelli esibisce anche quelli di Treviso e Caerano e le entrate in rialzo della farmacia. “Anche per gli utili di
gestione, pur non potendo dare risultati positivi, è lieto di poter dire che si delinea fin qui un utile netto del 3% nel
lavoro di dettaglio e dell’1,3% nel lavoro d’ingrosso”.
39 ASCMb., Ibidem, Seduta 28 novembre, Oggetto 2, Delib. 110. La cooperativa degli agricoltori ottiene l’appalto
per la vuotatura delle fognature.
40 ASCMb., Ibidem. Seduta 30 luglio 1922, Oggetto 14, Delib. 87. Nella stessa seduta si concede un sussidio alla
Camera del Lavoro autonoma di lire 2000 (Oggetto 11, Delib. 84)
41 Questo il testo del manifesto, datato 31 gennaio 1923:
Il Comune di Montebelluna ha pubblicato il seguente manifesto: Ai cittadini, per le imprescindibili esigenze
dell’Azienda Comunale, quest’Amministrazione fino dal 1921 ha affrontato la incresciosa e penosa necessità di
aumentare le tasse locali. Nell’anno stesso i nuovi o maggiori accertamenti furono: N.1523 per tassa di famiglia o
fuocatico, N. 545 per tassa d’esercizio o rivendita, N: 231 per tassa sulle vetture e domestici, N. 468 per tassa sui
cani.
Contro tali accertamenti sono stati prodotti complessivamente N. 595 ricorsi. La Commissione di primo grado ne ha
completamente accolto N. 47, ne ha respinto in pari N.203, ne ha respinto N.324 e per N.21 contribuenti ha trovato
anche d’aumentare gli accertamenti fatti dalla Giunta Municipale.
più ostile a un’amministrazione legata a un partito che aveva scelto, da subito e
con decisione, attraverso il suo leader locale e il giornale provinciale, di legare il
suo destino all’antifascismo più radicale. Ma, a queste considerazioni, va
aggiunto anche la morte di Luigi Bergamo in aprile del ’22, cioè di colui che, da
sempre, sapeva mediare tra istanze regressive di parte del tessuto sociale e le
idealità progressive del movimento; la decadenza di Bergamo da deputato per le
note questioni anagrafiche, la presenza, nella compagine locale di un’anima
nazionalista che, a poco a poco, cominciò a guardare con favore all’ascesa del
fascismo e le dimissioni, per ragioni del tutto personali, del giovane sindaco e
ingegnere Giuseppe Dall’Armi rese definitive nel novembre42. In ottobre il
rapporto tra la giunta, guidata da Bellino Bernardi e Lino Radoani deteriorò fino
alle dimissioni di questi43. In una lettera del febbraio ’23 Radoani rivela, forse
inconsapevolmente, la natura autenticamente “politica” delle sue dimissioni,
arrivando persino a dichiarare che nessun uomo politico spalleggiava le iniziative
della maggioranza, tenute in vita, a suo parere, dall’appoggio responsabile
dell’opposizione (peraltro ininfluente). Il passo rivelatorio è comunque il seguente:
Oltre a ciò anche la situazione politica si è nettamente cambiata perché se è vero che la nostra
amministrazione è composta di Mazziniani e di combattenti autentici che mai hanno boicottato la
patria perché l’hanno servita fino al sacrificio è anche vero che un diverso, decisivo indirizzo
doveva assumere la nostra amministrazione quando si trattava di essere prima italiani e compatti
per il bene supremo di quella Nazione per la quale la maggior parte di noi ha sopportato tanti
disagi. La pochezza intellettuale di noi tutti aggravata ora dalle dimisisoni della minoranza è
un’altra ragione che mi spinge a dichiararvi che non è giusto, non è possibile, che le sorti di un
paese di 17 mila abitanti dipendano dai parti più o meno allegri delle nostre cucurbite”44.
Il 4 febbraio la giunta prese la decisione di dimettersi con le seguenti motivazioni:
Pur ritenendo che questa rappresentanza Comunale non abbia demeritato della
fiducia dimostratale nelle elezioni del settembre 1920, ed anzi abbia retto la cosa
pubblica con criteri di giusta e sana amministrazione, ispirandosi sempre ai sensi di
perfetta italianità;
convinta di essere tuttora l’espressione della maggioranza dei cittadini; constatando
che non può più fare affidamento su un obiettivo trattamento da parte dell’autorità
Prefettizia;
Contro le decisioni della Commissione stessa vennero prodotti N.43 ricorsi alla Giunta Provinciale Amministrativa,
la quale ne ha accolto N.3 e ne ha respinto N.40.
Nel 1922, su N.2169 contribuenti, vennero eseguite complessivamente 1244 notifiche di nuove inscrizioni od
aumenti di tassa e contro le medesime sono stati prodotti N.237 ricorsi, sui quali si pronuncierà la Commissione
competente.
Quest’Amministrazione, nel suo difficile compito, si è inspirata a sensi di equità. I giudizi della Commissione di Primo
grado e della Giunta Provinciale hanno dimostrato che a tali sensi essa non è venuta meno.
42 ASCMb., Amministrazione 1922-28, b. 1222. La lettera è del 16 novembre, ma la decisione di dimettersi per
ragioni del tutto personali risale al maggio precedente.
43 ASCMb., Ibidem, 11 ottobre 1922, Dimissione di Lino Radoani.
44 ASCMb., Ibidem, 2 febbraio 1923, Lettera di Lino Radoani alla giunta. Nella lettera Radoani ricorda di aver già
dato le dimissioni già tre volte perché convinto che l’amministrazione “debba dare le dimissioni per lasciare che
il paese liberamente si pronunci”.
Constatando la mancanza di adeguato appoggio politico presso il Governo, avendo a
cuore soprattutto il bene del paese;
ricordando l’impegno precedentemente assunto coi rappresentanti dei Comuni
aderenti all’indirizzo seguito da quest’amministrazione;
delibera di esporre a questo Consiglio e ai rappresentanti dei Comuni predetti
l’opportunità di rassegnare le dimissioni45.
Del resto, che l’ostilità dell’autorità centrale fosse un dato oggettivo, è dimostrato
da un episodio dal forte carattere simbolico. Il 4 marzo elementi fascisti
sequestrarono e strapparono dai muri della città il manifesto nel quale la giunta
aveva riassunto il suo operato per rispondere alle accuse del blocco- liberalfascista.
Si trattava in ogni caso di una replica ad un attacco violentissimo, di un
documento pienamente amministrativo, molto articolato e documentato,
nient’affatto demagogico. Di fronte alla denuncia presentata attraverso la Tenenza
dei Carabinieri locali, il Prefetto Massara, lungi dal sollecitare di perseguire i
responsabili del reato, scriveva al municipio avvertendo che avrebbe aperto
un’inchiesta perché il manifesto era un atto meramente privato che non rientrava
in alcuna categoria di pubblici manifesti e che era persino biasimevole, là dove
insinuava che gli amministratori non “potessero fare affidamento su un
trattamento obiettivo da parte delle autorità centrale”, fornendo, in sostanza
indirettamente, la prova della sua evidente faziosità46.
Quel che va, in ogni caso, precisato è l’anomalia della caduta
dell’amministrazione repubblicana. Un’amministrazione contro la quale
l’opposizione non riuscì a produrre alcun malcontento popolare e tanto meno i
colpi di mano fascisti. Seppur di parte, appare eloquente questo passo de La
Riscossa all’indomani delle dimissioni:
L’offensiva contro l’Amministrazione Comunale di Montebelluna si è finalmente delineata con lo
specifico pretesto delle tasse comunali.
Mentre il Governo pone la tassa sui salari degli operai e sulla piccola proprietà terriera per
chiamare al risanamento delle disastrose condizioni finanziarie, mentre il Ministro De Stefani
ammonisce tutti gli italiani a pagare senza discutere e bolla con violenti parole quelle
Amministrazioni Comunali che per amore di popolarità, cooperarono al dissesto del bilancio dello
Stato perché non osarono compiere il duro, aspro, antipatico dovere di applicare le tasse
comunali, alcuni che si spacciano per fascisti e che del nome fascista di valgono ai fini loro
particolari, chiedono la decapitazione di una amministrazione Comunale che nello scorso anno
ebbe l’onesto orgoglio di poter presentare un bilancio che, tra i pochissimi in provincia, è in
pareggio effettivo47.
Quanto poi il rapporto di Guido Bergamo e dei bergamini con le masse sia stato
straordinario (nel senso fattuale e temporale) è dimostrato, paradossalmente,
dalle tarde note di un testimone d’eccezione, proprio l’agronomo Antonio Baccega,
eletto subito dopo l’amministrazione repubblicana a capo della lista locale liberalfascista:
45 ASCMb., Ibidem, Registro Deliberazioni Giunta Comunale, b.8, 4 febbraio 1923
46 ASCMb., Amministrazione 1922-28, b. 1222, Carteggio Giunta-Prefetto, 3-7 marzo 1923
47 La Riscossa, 3 febbraio 1923
La provincia di Treviso fu una di quelle che più soffersero negli anni dal 1919 al ’22 per le agitazioni
dei bianchi e dei rossi. Nella parte superiore della Provincia, ed in modo particolare nel
Montebellunese, le masse furono dominate dal partito social-repubblicano capeggiato dall’onor.
Bergamo, il quale, malgrado le varie vicende della sua vita politica, ha saputo tenersele in gran parte
strette intorno a sé, odiatrici del Fascismo, illuse ancora nella futura realizzazione delle mirabolanti
promesse della repubblica sociale.
Il Partito Nazionale Fascista, e i Partiti affini, hanno lavorato molto per far rinsavire le masse e
distaccarle dal Dr. Bergamo, e confidavano d’ottenere la dimostrazione del loro successo nelle recenti
elezioni politiche. […]48
Nonostante l’arrivo del fascismo al governo del Paese, appare quindi corretto
affermare che quella dell’amministrazione di Montebelluna repubblicana fu una
caduta anticipata perché essenzialmente dovuta a contrasti di natura personale
in seno alla maggioranza; e che il legame fortissimo tra Bergamo e le classi
popolari dell’alto trevigiano e di Treviso non fosse affatto venuto meno è
dimostrato dalla sua, ennesima, e veramente clamorosa rielezione al Parlamento
nelle elezioni del ’24.
L’arrivo del commissario prefettizio, generale Baldassarre Baldassari (16 marzo-4
novembre 1923) si ridusse, sostanzialmente, all’interruzione delle esperienze
consorziali e alla rottura di ogni rapporto con la rete delle organizzazioni sociali
48 ASCMb., Corrispondenza riservata, 1920-62, Memoriale Sindaco, 1 maggio 1924. Si vede, in merito al consenso
popolare e trasversale dei bergamini, la significativa lettera apparsa ne La Riscossa, 12 marzo 1921.
“Da un po’ di tempo notasi un’aspra quanto ridicola rifioritura di critiche all’opera dell’amministrazione
repubblicana di Montebelluna. Chi scrive non è repubblicano: ci tiene a dichiararlo. Ma è però un amante della
verità e dei fatti concreti. Poche, pochissime amministrazioni comunali trovandosi in straordinarie difficoltà morali
e materiali, hanno saputo fare quanto quella di Montebelluna. E’ naturale che le riforme e le iniziative non possano
attuarsi in pochi giorni. Dobbiamo intanto far notare lo straordinario spirito di tolleranza e di rispetto della parte
repubblicana: nessun atto settario, nessuna persecuzione, nessuna vendetta. Montebelluna ha cessato di essere
quello che era: si respira a pieni polmoni un’aria di libertà malgrado la combutta Bianchi-Prevosto-Polin che
tenderebbero –poveri untorelli! – a creare difficoltà.
L’amministrazione comunale ha affrontati tutti i problemi così suddivisi:
1. Gettito delle entrate.
2. Tutela dei consumatori di generi alimentari.
3. Problemi della scuola.
4. Case popolari.
5. Tutela degli operai e problema della disoccupazione.
6. Problema della irrigazione.
7. Tutela dei danneggiati di guerra.
In concordanza con questo programma essa ha riveduto il contratto del dazio, ha ritoccato e s’appresta pel
futuro, senza scosse, a ritoccare i ruoli delle imposte, ha dato vita all’ente dei consumi, opera magnifica che dà
sui nervi ai pescecani: sta indefessamente lavorando contro cento ostacoli per dare la scuola tecnica alla città e
nel prossimo anno costruirà un grandioso edificio per le scuole elementari.
Ha costituito un ente per le case popolari in consorzio assicurandosi un finanziamento per cinque milioni. Ha
cercato e cerca in stretto accordo con gli organismi operai di attenuare le tristi conseguenze della
disoccupazione. SI propone di aumentare l’acqua di irrigazione. Ha costituito un provvidenziale ufficio per i
danneggiati di guerra. Una amministrazione tanto onesta, retta, attiva, ha il diritto al rispetto anche dei non
repubblicani.
A.D.B.
In questa sede si può solo accennare al fatto che il rapporto di Bergamo con le masse transitava attraverso spazi
e momenti pubblici, in particolare i comizi, di cui è stato leggendario interprete; su questo e per la politica di
piazza in generale, si veda G. Sbordone, Gli spazi della folla. Manifestazione politiche di Piazza nel Veneto del Primo
Novecento, Tesi di Dottorato di ricerca, Università Cà Foscari, AA. 2005-2006- AA. 2007-2008.
preparando così il campo alla vittoria, peraltro effimera, nelle amministrative di

autunno ’23 del blocco liberal-fascista capitanato dall’agronomo Baccega.